A disporre l’arresto dell'ex giudice
2013. Da Telejato cominciamo a denunciare la mala gestio della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, allora presieduta da Silvana Saguto.
2015. I finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria aprono le indagini. La Saguto viene intercettata. Mi da dello stronzo, dice che ho le ore contate.
2016. La procura di Palermo mi accusa di estorsione con una conferenza stampa in pompa magna. Vittorio Teresi, in quell'occasione, dice: "Non abbiamo bisogno dell'antimafia di Pino Maniaci".
2021. Vengo assolto con formula piena perché il fatto non sussiste.
2023. I finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria arrestano la Saguto, il marito Lorenzo Caramma, Cappellano Seminara e Carmelo Provenzano.
🔴 A disporre l'arresto dell'ex giudice, che deve scontare una condanna a sette anni e dieci mesi per corruzione diventata definitiva il 19 ottobre, è stata la procura generale di Caltanissetta diretta da Fabio D'Anna. La cassazione ha annullato infatti solo una parte residuale del verdetto d'appello a carico dell'ex giudice delle misure di prevenzione di Palermo, ordinando un nuovo giudizio per la rideterminazione della pena. Ma dai calcoli fatti dalla procura generale è emerso che la condanna divenuta irrevocabile è superiore ai quattro anni e quindi non può essere sospesa. Da qui la decisione di disporre l'arresto. Stesso ragionamento è stato fatto per il marito Lorenzo Caramma che dovrà scontare sei anni e un mese e per gli ex amministratori giudiziari che la Saguto avrebbe favorito in cambio di regali e denaro, Carmelo Provenzano e Gaetano Cappellano Seminara, che hanno avuto rispettivamente sei anni e otto mesi e sette anni e sei mesi.
Avevamo ragione noi. Molti nostri colleghi, tuttavia, sembrano aver dimenticato la genesi di questo processo. Parlano i fatti ma anche le sentenze, come quella della Corte d'Appello di Caltanissetta la quale ha scritto nero su bianco che furono gli attacchi e le inchieste di Telejato a squarciare il velo e la fitta nebbia che avvolgeva lo scandalo della gestione dei beni sequestrati.
Siamo stati i primi a smascherare "la regina di Palermo", a portare faldoni e faldoni di prove a Caltanissetta, a raccogliere le testimonianze di coloro ai quali era stato tolto tutto senza che fosse minimamente provata la loro vicinanza a Cosa nostra. La nostra era una voce nel deserto, che poi è stata raccolta e diffusa da Le Iene e solo successivamente anche dagli inquirenti. La giudice Rosini, ex collega della Saguto, parlando tempo fa della nostra inchiesta, è stata molto chiara: "Non era una campagna basata su suggestioni, su chiacchiericci, era molto precisa. Si facevano nomi, cognomi. Poi si cominciò a parlare di liquidazioni, si cominciò a parlare insistentemente dell'avvocato Seminara e quindi cominciò a significare qualche cosa di importante nell'evoluzione del nostro lavoro".
Non cerchiamo medaglie ma ci aspettiamo un minimo di onestà intellettuale da parte di chi, nel 2013, ignorava le nostre denunce e oggi invece fa i titoloni sui giornali.
La nostra libera informazione non si è mai fermata. Abbiamo continuato a fare antimafia anche dopo quella conferenza stampa del 2016, scontrandoci a muso duro con la macchina del fango e gli innumerevoli tentativi di chiusura della nostra emittente.
Oggi la Saguto è al Pagliarelli ma la legge sulle misure di prevenzione è ancora lì. Da anni chiediamo che venga riadeguata, partendo dal presupposto, come ben scrive il prof. Salvo Vitale (leggete il suo libro "In nome dell'antimafia" se non lo avete ancora fatto) che ai mafiosi si sequestrano pure le mutande, per i presunti mafiosi, la cui presunzione è affidata all'arbitrio di un giudice, bisogna valutare le garanzie costituzionali, sino ad arrivare a una sentenza penale. Allo stato attuale, a parte una proposta presentata in Parlamento, non è stato fatto nulla in tal senso.
(Foto la Repubblica - Igor Petyx)
#Telejatononsiferma #avevamoragionenoi